Not a perfect world, just a better place

Parliamo un po’ di futuro.

Solitamente non lo faccio perchè non sbandiero le cose ai quattro venti, ma l’inattività mi spinge a pensare e ormai anche le fantasie su Robert Redford hanno perso di slancio adrenalinico.

Ormai ho quasi deciso che dopo la laurea tenterò un PhD, non perchè ami particolarmente studiare o sia naturalmente portata a passare il tempo su libri e pubblicazioni, ma semplicemente perchè è un ottimo modo per fare quello che voglio fare davvero, viaggiare. E quale modo migliore se non quello di approfittarsi di ottime università che investono nel tuo potenziale?

Ovvio vincere un dottorato non è una cosa semplice e soprattutto immergersi in questo mondo fatto di dead line, cavilli, giurisdizioni oscure e cambi valuta improponibili significa entrare in un tunnel da cui difficilmente si riesce a uscire, ma visto che ho la fortuna di poter scegliere tra un lavoro ordinario e uno intellettualmente stimolante (perché ho le facoltà mentali e i titoli di studio adatti a farlo) se non altri vedo come va, poi se la strada del ricercatore non dà i suoi frutti tornerò a fare la fruttivendola, ma sarò una di quelle fruttivendole che non si pettinano mai e che ammorbano i malcapitati con aneddoti scomodi e prolissi.

La domanda legittima e spontanea ovviamente è: se fare il ricercatore richiede una cospicua dose di abnegazione e culo rotto, perchè tu ci vuoi provare?

Essenzialmente perché non ho di meglio da fare. Di stare con le mani in mano non sono capace e al di là di stipendi, pensioni, trattenute e tredicesime, ognuno dovrebbe fare in modo di ottenere quello che vuole ad ogni costo, di spremere la vita finchè ne ha la possibilità e di non farsi schiacciare troppo dalla società, cedendo a qualche compromesso ma neanche troppo.

Intendo dire che spesso, intruppati in tutti gli obblighi sociali, ci dimentichiamo di vivere felicemente, e ci limitiamo semplicemente a vivere per soddisfare dei bisogni puramente materiali.

Mettiamo che il ragazzo K. a 19 anni è un po’ svogliato, non vede molto al di là del suo naso e non gli piace stare troppo sui libri. Finita la scuola dell’obbligo si prende qualche mese per spassarsela poi inizia a cercare lavoro e diventa un operaio non meglio qualificato e passa da un contratto a tempo determinato all’altro. Aspetta agosto per farsi le vacanze al mare con la tipa a Iesolo o con gli amici a Ibiza, la tredicesima per pagarsi la rata della macchina che gli dà indipendenza e patina da fico e il lavoro in magazzino, sì magari pesa un po’ ma i soldi servono per la benzina, le serate in disco e la cintura di Kalvin Klein. A 25 anni il venerdì sera si ritrova al bar a lamentarsi del lavoro che non va, del capo che è una merda e della figa di legno che ha incontrato a Sharm el Sheik. A 30 anni incontra la donna della sua vita e contemporaneamente inizia a correre come un criceto impazzito per trovare un contratto a tempo indeterminato, qualunque esso sia. Dopo due anni lo trova e riesce ad affittare un appartamento con la futura sposa che dopo altri due anni figlia. L’uomo K. ora ha bollette, asili, domeniche preconfezionate, discount, assicurazioni, preoccupazioni sulla pensione, il futuro dei figli, la canizie.

Poi c’è il ragazzo J. che ha anche lui 19 anni, ma ha già subodorato qualcosa del futuro di merda che lo attende e decide di farsi il culo in una università spaccaossa, che riesce a finire in corso e con un buon voto. Durante i 5 anni di università ha fatto un po’ di lavori per pagare le tasse universitarie e qualche vacanza con gli amici, qualche attacco di panico pre-esame e  a 23 anni vince una borsa di studio per un semestre a Hong Kong. Pensa che sono tutti un po’ fuori di testa lì, ma che è comunque un’esperienza. A 25 anni tenta vari stage sottopagati nel suo paese, ma non ingrana, così inizia a mandare CV a destra e a manca e viene preso per 4 mesi ad Ankara come stagista, poi vede il bando di concorso per un posto da ricercatore a Val Paraìso e nel frattempo fa domanda in altri 18 atenei sparsi per il mondo. Non viene preso a Val Paraìso, ma a Stoccarda per due anni e mezzo. A 30 anni trova la donna della sua vita e contemporaneamente inizia a pensare a un posto dove mettere radici, perchè inizia a vedersi bene con qualche pargolo scorrazzante per casa, così accetta un incarico annuale a Stoccarda, ma poi tenta un altro concorso per Seattle e questa volta lo vince e lì inizia a collaborare stabilmente con l’università. Dopo due anni riesce ad affittare un appartamento con la futura sposa che dopo altri due anni figlia. L’uomo J. ora ha bollette, asili, domeniche preconfezionate, discount, assicurazioni, preoccupazioni sulla pensione, il futuro dei figli, la canizie.

Il sunto è che alla fine sia K. che J. muoiono, perchè tutti moriamo, ma forse J. avrà qualcosa da scrivere in più sulla lapide perchè non si è accontentato subito della via più facile e in punto di morte avrà raccontato tutte le cose che ha visto in giro per il mondo, prima di mettere radici in quella città e di mettersi a fare una vita uguale a quella di K.

Perchè a meno che non sei ricco sfondato o un asceta non scappi dalla società, l’uomo al di fuori della società non esiste dicevano i giusnaturalisti e noi essendo figli della nostra era, siamo uomini che vivono in una società piena zeppa di restrizioni, codici, obblighi.

Il segreto sta nel far credere alla società stessa di stare al gioco, di vivere secondo i dogmi, sfruttando la sicurezza che inevitabilmente una realtà così strutturata ti dà, mentre tu vivi davvero.

Ad maiora.