L’acqua è un bene prezioso

Giusto per dare una base razionale al mio delirio di onnipotenza, vi riporto questo brevissimo episodio.

E’ da un bel po’ di tempo che aspetto un pacco che mi sono autoinviata dal Giappone prima di partire, pieno di vestiti pesanti e varie amenità utili alla mia sopravvivenza in questo autunno piovoso e già freddino. Non ho una giacca che sia una, no sneakers e babbamente mi sono anche spedita il caricatore del pc, così una volta in Italia ho dovuto comprarne uno su Amazon e ora mi ritrovo con due caricatori. Anyway, il tempo passa e non arriva una ciosba, io sono sempre più infreddolita e inizio a recuperare ricevute varie a tracciare il pacco e ad accendere ceri in chiesa, fino a questo momento di profonda disperazione e rabbia. La minaccia come potete vedere è chiara e lapalissiana, ma non tengo conto dei miei super poteri e non curante lancio la mia maledizione.

E così, nell’ordine e tutto ovviamente prima del mio compleanno, succede questo e questo. Salvatemi da me stessa, vi prego. Anzi, salvatevi, voi che potete. (Poi vabbè qualcuno mi deve spiegare perchè il mio pacco puzzava tremendamente di naftalina, ma questa è un’altra storia).

Se non altro ora posso riappropriarmi delle mie scarpe da corsa e smettere di fare cyclette a piedi nudi, che non è molto comodo e mi rende poco fica. Non sto perdendo un grammo che sia uno, ma se non altro sudo come un cavallo al Palo di Siena e sono costretta a farmi la doccia. Penso che per un buon 95% della gente  il momento del bagno rappresenti una situazione con una canzone di sottofondo simile, relax, pace, sole, cuore, amore. Per me rappresenta un momento di angoscia, una battagli psicologica che ogni volta devo combattere col mio cervello. Perchè dovete sapere che  io odio lavarmi, per me c’è solo acqua bagnata, umido, freddo, perdita di tempo e l’inevitabile e mesto raffronto con lo Specchio che mi comunica con gelida oggettività: “SEI UNA MERDA. Hai la pancia bucherellata (il dark side di avere una pompa insulinica, nda), hai un Wally che sembra un terzo capezzolo, non ti depili da sei anni e puzzi. E non guardare la Lavatrice. Anche lei la pensa così.” Mi giro verso la Lavatrice, che ovviamente in quel momento è muta:”Brutta stronza, tutte le volte che ti parlo, mica me le dici ste cose!”. Non contento, continua:”Quando hai intenzione di levarti la pelliccia, spalmarti un po’ di crema idratante, cazzuolarti di trucco la faccia, uscire e trombarti qualcuno?” Ma io seguo il dogma di Adam Levine, doin’ dirt per cui lo ignoro, mentre tento di trovare la giusta combinazione di acqua fredda e calda che mi consenta di ridurre al minimo il fastidio della doccia. La cosa che più odio infatti è la sensazione di bagnato sulla pelle, i capelli umidi, l’acqua negli occhi, la schiuma dello shampoo, dover aspettare che il balsamo faccia effetto e poi asciugarsi i capelli. Che tanto poi al massimo dopo 3 giorni sono di nuovo punto e a capo. Altro bagno, altra scocciatura. A che pro? Non è meglio rimanere zozzi per un po’ e lavarsi solo quando è strettamente necessario? Anche le bollette ringrazierebbero.

Che poi tra l’altro l’architettura del bagno di casa mia non è che aiuti a rendere questa esperienza più piacevole. Lo spazio è minuscolo, c’è una vasca con un gradino che non ti permette di stenderti; l’attacco del braccio della doccia mi arriva al petto, indi con una mano devo reggere il braccio e con l’altra lavarmi; all’altezza della testa c’è una finestra, ma si apre verso l’interno e ruba un sacco di spazio, per non parlare delle capocciate che mi prendo tutte le volte. L’unico aspetto positivo della suddetta finestra è che mi lascia fare la doccia spiando i vicini senza che mi vedano biotta e la sera mi vedo la luna.

Il momento dello scrub segna l’inizio della fine, la luce in fondo al tunnel. Fosse per me non lo farei, ma io so che nel momento in cui metto piede fuori dal bagno l’Occhio di Sauron lancerà il suo sguardo penetrante e con un sibilo assordante che farebbe impallidire un Dissennatore mi direbbe:”Perchè non ti sei tolta la pelle mortaaaahh…quando eri piccola te lo facevo sempre e se ora hai la pelle elastica e soda è solo grazie a meehh…” come se riuscisse a individuare e conteggiare il numero di cellule morte sul mio corpo. (Stupido retaggio infantile: me lo ricordo bene quando mi faceva il bagnetto con l’acqua a 80° e mi raspava via schiena-collo-braccia-gambe finchè non uscivo fuori dello stesso colore e consistenza di una prugna secca, ho ancora il trauma).

Per cui potete immaginare la mia sofferenza ora che mi faccio un’ora di cyclette al giorno, quindi una doccia al giorno. Mi infliggo questo martirio perchè ormai non vivo più della rendita giapponese (bei tempi quando mangiavo il doppio e bruciavo il triplo…la combo estate torrida-bicicletta come unico mezzo di locomozione-gestione autonoma di casa e vita fu una manna) e ogni grammo di CHO che ingerisco si tramuta magicamente in un kg di ciccia e anche perchè spero che in un giorno non troppo lontano potrò camminare senza che le mie cosce funzionino come pietre focaie e appicchino casuali incendi ogni qualvolta le metto in moto e soprattutto, nel momento in cui mi ritroverò di nuovo un uomo tra le gambe, si renderà conto di non avere a che fare con due scialbe e flaccide cosce, ma con due colonne di Traiano che farebbero invidia anche a Xena, pronte ad avvilupparlo nella loro letale morsa amorosa.

ps: ho deciso di iniziare una nuova cazzutissima rubrica che metterò in fondo ai post, quando mi pare. Enjoy.

DailyDaddy: quella volta che mio padre invece di leggere “posta aerea” lesse “Birmania” e mi chiese:”Ma questo pacco arriva dalla Birmania???”. E’ ancora un mistero quale connessione cerebrale ha smesso di funzionare in quel momento e ha trasformato le parole p-o-s-t-a-a-e-r-e-a in B-i-r-m-a-n-i-a.

Ad maiora.

Summer hardcore

Ieri sono andata in centro città a fare un aperitivo con un mio amico che non vedevo da tempo. Dopo aver perso il bus, aver scoperto verità nascoste, essere scesa alla fermata sbagliata, aver fatto la splendida dicendo che aspettavo da tempo lì e lui non c’era (il messaggio diceva testualmente:”sto facendo la ragazza immagine davanti all’entrata del Mazzini” giusto per darmi quel piglio di donna self-confident col tacco 15), salvo poi farmi notare che avevo tragicamente e catastroficamente sbagliato luogo d’incontro, mi sono goduta l’afa e i wurstel verdi dell’insalata di riso (cfr. la freschezza dei sapori di una volta). In tutto ciò sentivo intorno a me gente che si lamentava del caldo, dell’umido, delle temperature…e tutto questo mi ha riportato indietro, a quando vivevo in Giappone e a quanto lì il caldo non fosse minimamente comparabile a quello europeo.

Intendo, non è per dire “voipoveraccicosanepotetesapereIOsocom’èilverocaldoIOhosoffertoepatito”, ma è un dato di fatto. L’estate in Giappone è più calda, più torrida, più umida, più infernale. Se sopravvivi a quella, il tuo organismo cambia, le tue ghiandole sudoripare subiscono una mutazione genetica (e il fatto che io vivessi a 2.30 ore da Fukushima è solo un fortuito e non collegato caso) e il tuo istinto di sopravvivenza si acuisce in diverse e variegate maniere.

Mi ricordo quella volta in cui ero sperduta in una foresta di bamboo ed erano le 2 di pomeriggio, il sole era a picco e sembrava essere allo zenit da 4 ore, senza mai calare. Stavo ringraziando svariate divinità per avermi dato l’acume necessario per comprare i generi di primo soccorso di cui vi parlerò in seguito e intanto pregavo le stesse divinità affinché mi liberassero da quel supplizio. Camminavo per forza d’inerzia, la strada era pure in salita e io mi chiedevo come fosse possibile che esistesse un posto del genere. Cioè com’è possibile che possa esistere un posto nel mondo in cui ci sia una combinazione simile di afa, umidità, caldo, insetti e sole? Il mio cervello non riusciva a elaborare e sintetizzare le informazioni e gli stimoli provenienti dall’esterno e non riuscivo a giungere a una conclusione razionale. Faceva talmente caldo che mi bruciavano gli occhi perché il sudore colava da ogni parte e convergeva magicamente nelle mie pupille, per cui ero accecata dai miei stessi fluidi corporei mentre il primo salva-vita mi stava davvero salvando la vita: la salvietta tamponasudore (di Totoro), opportunamente inumidita ogni qualvolta ne avevo la possibilità e che oltre ad asciugarmi il sudore mi manteneva anche la testa fresca. Sembravo uno di quei sarariman (salaryman) di mezza età che si tamponano la fronte ogni tre secondi o  i turisti tedeschi in sud Europa con la salvietta sulla testa.

L’altro salvavita, il diffusore da 15 ml di 無印良品 [Muji], serviva relativamente perché spruzzava acqua su un corpo già drammaticamente bagnato e soprattutto non era acqua fresca. Quando trovavo un tempio con una fonte o un ruscello mi fiondavo e mi facevo la doccia, tra il disgusto generale degli autoctoni che ovviamente non versavano una goccia di sudore e anzi, le allegre comari erano pure coperte all’eccesso per non abbronzarsi, sul risciò con la copertina rossa di ciniglia, santoiddio, di ciniglia, mentre il povero trascinatore di risciò (non conosco il nome tecnico), secco come una dried plum, portava una americano obeso con la consorte asiatica, per un totale di 150 chili credo.

Sudore e acqua si mischiavano in un mix letale di disperazione e agonia e quando credevo di aver raggiunto il climax ecco che giunge il paradossale, l’inaspettato: mi sudava un ginocchio. Intendo dire, non era un rigolo di sudore che dall’addome o dall’ inguine era sceso verso la gamba e quindi toccato il ginocchio, ma era proprio una goccia di sudore generatasi autonomamente dall’epidermide del ginocchio e che bruciando scendeva verso lo stinco.

Mi sono fermata e ho fissato per un numero imprecisato di minuti il mio ginocchio e sopportando stoicamente il bruciore, ho avuto una sorta di epifania, come se il mio ginocchio si fosse tramutato in un fonte battesimale o in una di quelle madonnine piangenti, solo che invece di piangere sangue, piangeva sudore.

Dopo 3 ore, 3 litri d’acqua ingeriti, 6 evaporati e un paio di chili in meno, sono riuscita a terminare la camminata e a uscire dal labirinto dei bamboo che frusciando mi dava l’arrivederci e io piombavo in un ancor più umido centro abitato.

Tutto per questo per ammonirvi e non lamentarvi troppo del caldo, perché c’è sempre qualcuno che sta peggio di voi!

Ad maiora.

Quando i baffi ti aiutano a pensare

Wow, e` incredibile come il tempo di scorra tra le mani quando sei estremamente impegnato. Sono le 20.41 di sera e sono ancora in universita`lavorando sul progetto che devo presentare sabato con dei baffi di balsa appiccicati sotto il naso (ok, questa e`un`altra storia e per inciso, maledette tastiere giapponesi che non hanno gli apostrofi e gli accenti come dio comanda!).

Questa volta il progetto mi piace estremamente e mi sembra sia venuto anche bene e non sento assolutamente la pressione e la tensione (la loro assenza e`fondamentale affinche` un mio progetto venga bene). Nel frattempo le giornate corrono veloci e ogni giorno e`pieno di cose da fare, musei da vedere, mostre a cui andare, karaoke in cui sgolarsi fino alle 5 del mattino, cibi nuovi da assaggiare, persone con cui parlare e confrontarsi, battute per cui ridere.

Se guardo le foto che mi sono state fatte in questi mesi mi rendo conto che nella maggior parte di esse, rido. Ma un bel sorriso a 54 denti, spensierato, di quelli che ti mettono allegria solo a vederli (e non perche`il mio sorriso sia bello, ma perche`ci sono quei sorrisi che “tirano”). Mi sono stupita quando l`ho visto:”E tu che ci fai qui?  Dove ti eri nascosto fino ad ora?”. Davvero chissa` dove si era cacciato, ma ora che e` tornato non vorrei lasciarlo scappare, anche se la situazione e gli impegni che mi attendono in Italia di certo non mi aiutano. Forse e`anche il fatto che ora ho una vita che si puo`chiamare tale.

Sabato finisce il semestre per me e con esso i progetti fatti fino ad ora e anche la mia vita da universitaria, poi ho all`incirca un mese in cui posso stare ancora qui a cazzeggiare (magari iniziare una certa tesi di laurea magistrale o studiare per quel paio di esami che devo dare a settembre – gli ultimi in Italia-) e in cui penso girero` un po`meglio Tokyo e poi mi piacerebbe visitare Kyoto, Nara, Hiroshima e Osaka, ma non so se i soldi mi basteranno, dal momento che non posso fare il JR Pass e senza contare che il 10 arriva M. dalla Cina con furore e devo pensare a cosa farle vedere in 5 giorni di permanenza in terra nipponica (infatti mi skippo pure la gita a Disneyworld con la mia classe in quanto e` l`11), poi e`in previsione un`escursione a DisneySea, il tanabata di domani posticipato a sabato e  che si tramutera` magicamente in una Italian nite con me che cucinero`come una schiava in dipartimento e uno study trip a Gifu di 3 giorni e che costera` la bellezza di 30000 yen (stendiamo un velo pietoso).

Insomma ho il mese impegnato e questo e`bene perche`cosi`non penso a quello che mi aspetta dall`altra parte del mondo.

Vabbe` sono le 21.13 ho aspettato invano fino ad ora la venuta di una persona occupando il tempo scrivendo questo post inutile…nice, si vede che non ha captato i miei infrasuoni.

E i miei baffi si sono pure staccati (troppo caldo e irritazione in vista). Si vede che ho pensato troppo intensamente.

Ad maiora.

雨季

Dopo giorni e giorni, finalmente passo un (tardo) pomeriggio a casa. Forzatamente. Perché tra qualche ora dovrebbe passare un bel ciclone tropicale che percorrerà il suo sentiero dorato, passando anche per di qui. Per ora c’è solo una grande pioggia (da stamattina), ma hanno già chiuso un sacco di uffici. Prima ero in università, tentando di fare qualcosa per la presentazione di giovedì, ma c’era un’atmosfera generale di pigrizia e immobilità e sono queste situazioni che mi gettano in uno stato di angoscia surreale. Non ho mai capito perché mi succede, ma inizio a sentirmi male, mi palpita il cuore, mi sembra di essere incatenata a un muro, vorrei parlare con tutti, fare ottocentomila cose e invece sembra che il tempo non passi mai, l’orologio segna sempre le 15.40 e tu ti chiedi perché ti senti soffocare. Vorresti entrare nel cervello di tutti quelli che ti stanno intorno, scoperchiarlo e carpire i loro pensieri … insomma vorresti che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa e invece niente accade. Penso sia l’effetto della stagione delle piogge qui.

L’idea di passare le prossime ore in questo stato non fa che alimentare la mia angoscia esistenziale e siccome so che questo mi porterebbe brevemente a controllare ossessivamente la bacheca di fb per intercettare qualsiasi notifica/movimento di persone, stasera mi vedo un film con S. e preparo sta benedetta presentazione per giovedì, visto che il modello non lo posso finire, essendo tutto in università. Ho mollato tutto lì perché a un certo punto è suonato l’allarme tifone e hanno annunciato che a causa dell’uragano l’uni avrebbe chiuso alle 18 per cui non aveva molto senso restare lì ancora.

Le settimane passate sono state ricche di eventi e infatti non sono quasi mai stata a casa, complice il bel tempo e gli amici, sono sempre stata in giro. Sembra quasi che la fine del corso di Mc Donald’s abbia sancito un cambiamento radicale nella mia permanenza qui. Ho persino scoperto degli amici all’interno del mio dipartimento e posso dire di essermi perfettamente integrata. Prima ad esempio facevo fatica ad andare nella working class a progettare, perchè mi sentivo un pesce fuor d’acqua, nessuno mi parlava e tutti sembravano iperconcentrati sui loro progetti. Poi è come se mi fossi levata un velo dagli occhi e ho iniziato a vedere cose che prima nemmeno notavo.

C’è Miho che arriva in classe e prima di iniziare a lavorare si fa un pisolino con la coperta sopra la testa; c’è Kayoko che la maggior parte del tempo cazzeggia al pc e cura le piante vicino alla finestra, ogni tanto chiede a qualcuno aiuto, viene da me e mi dice una frase in inglese; c’è Manami che è molto impegnata con l’internship e quando riesce a venire parliamo sempre come due zabette; c’è Saerom che ha il tavolo sempre pieno di scartoffie; c’è Sayaka che è la migliore. Non saprei cosa fare senza di lei, è fantastica, la adoro e mi piange il cuore a pensare che tutti noi siamo all’ultimo anno e dopo le nostre strade si divideranno e non ci vedremo mai più probabilmente.

Forse è questo pensiero che mi fa vivere nell’angoscia. Perché so che questo momento è destinato a finire, a non ripetersi e a vivere per il resto della mia vita nei miei ricordi. Le notti passate al karaoke, o a parlare dei massimi sistemi, i pomeriggi all’エミユウ (la bakery dell’università), le sbronze, le conversazioni impossibili con gente che non ti capisce, l’estrema facilità con cui passo da una lingua all’altra e la mia ricettività nei confronti della lingua giapponese…mi sento come un fiore che viene continuamente impollinato. Ogni giorno che passa capisco sempre di più e anche se non riesco a tenere una conversazione, capisco il senso generale di cosa mi viene detto. E’ come se la manopolina del mio cervello fosse stata girata su:”sponge mode” e immagazzino tutto quello che sento e poi al momento di capire, il mio cervello sputa fuori quello che ha raccolto e mi permette si comporre il senso della frase.

BREAKIN’ NEWS:

It is the first typhoon in 8 years to make a direct strike on Japan’s main island of Honshu during the month of June.

Guarda caso proprio quando sono io in Giappone. LOL. Il mio potere cresce sempre di più!!!!

Ad maiora.


IMHO

Sto scrivendo dalla mia favolosa biblioteca e alla mia destra c`e` una tipa che sta studiando spagnolo per giapponesi e una che sta consultando il sito di ZozoTown. Vabbe`, viva la cultura. Domenica mi sono sparata ben due mostre: una sull’handcrafting nella zona del Tohoku e una su un artista coreano, Lee Bull. Se siete in zona e avete un pomeriggio libero ve le consiglio.Quella di Lee Bull era alla MidTown a Minato ma e`gia`finita, mentre quella sull`handcrafting si e`aperta il 27 e dura fino a luglio se non sbaglio ed e`a Roppongi, nel museo di Tadao Ando per intenderci.

Entrambe sono state fantastiche, mi sono piaciute molto, soprattutto quella sul Tohoku, ma perche` e` legata a un mio progetto top secret di cui vi rendero` partecipi nei mesi a seguire, per ora e` solo una cosa embrionale e come per la mia partenza per il Giappone aspetto di arrivare all`ultimo per raccontare la faccenda. Oddio e` entrata quella ragazza con la risata fastidiosissima, che ogni tanto partecipa ai nostri english lunch… mamma mia tutte le volte che la sento ridere mi viene voglia di affogarla in uno stagno di salsa di soia e wasabi. Ogni mercoledi`io e un altro po` di ragazzi anglofoni ci troviamo in pausa pranzo per mangiare insieme e parlare solo inglese e solitamente questi incontri si trasformano in occasioni per darsi una mano a vicenda coi corsi di lingua (c`e` chi fa francese, chi italiano ecc…per me e` il momento in cui elemosino aiuto per i compiti di giapponese che non faccio mai) e per fare gare di bento. Ormai e`nata questa sorta di competizione per cui ognuno porta un bento e Wanda scatta la foto e alla fine del semestre verra`decretato il vincitore. Intanto stamattina sono andata a iscrivermi in palestra e ci ho messo un quarto d`ora per capire cosa dovevo scrivere, per fortuna che ho imparato a scrivere il mio nome in Katakana (storpiato ovviamente) e poi sono andata ad aiutare un ragazzo che sta facendo un progetto di communication design e gli servivano persone che parlassero in diverse lingue e io pensavo di dover parlare in italiano, ma mi ha chiesto di parlare in turco (da notare come il mio livello di questa lingua stia drammaticamente precipitando verso lo zero assoluto). Era meglio che chiamavo in skype l`occhio di Sauron, che per inciso si e`intrippata con le spedizioni intercontinentali di pacchi, infatti me ne ha gia`spediti due, di cui uno pervenuto: vestiti estivi a me!

Devo ammettere che le poste giapponesi sono qualcosa di cui essere sempre orgogliosi e soddisfatti, come mi diceva Hagane. Se non ci sei quando arriva il tuo pacco ti lasciano il bigliettino e tu vai sul sito delle poste, scegliendo quando vuoi che ti arrivi e poi devi solo firmare una ricevuta (in stampatello of course) e il gioco e`fatto. Un`altra cosa a cui sono piacevolmente abituata e` la buona fede delle persone. Nel senso, la gente qui non si cura molto degli altri, ne`in senso positivo, ne` in senso negativo. Posso andare in giro da sola, in mutande, alle 3.30 am che nessuno mi fara` del male (anche perche`sono gaijin per cui faccio un po`paura lol); spesso mi dimentico le chiavi inserite nella sicura della bici, una volta ho dimenticato per tutta la notte il portafogli nel cestino sempre della jitensha e l`altro giorno ho lasciato le chiavi nella toppa tutta la notte. In biblio puoi lasciare tutto quanto, pc, chiavi, soldi, effetti personali, che sei certa che quando ritornerai saranno li`, qui il concetto di rubare sembra estraneo alla mentalita`comune. Per contro c`e` anche questo menefreghismo generale, condito con una forte timidezza che li spinge a ignorarti anche se ti vedono in palese difficolta`. Non si puo`fare di tutta l`erba un fascio perche` ad esempio vedo la differenza tra la gente di citta` e quella di campagna, pero`sicuramente c`e un`ambivalenza di fondo.

C`e`una sorta di liberta`frenata, condizionata. Posso andare in giro nuda o vestita completamente di petali di rosa, la gente non mi chiedera`mai perche` vado in giro cosi`, ma per contro ci sono delle rigidissime regole aprioristiche a cui non puoi sottrarti se sei giapponese e io le vedo maggiormente perche` mi sfiorano, ma posso sottrarmi in quanto gaijin. Come una piscina con delle valvole di sfogo per l`acqua: quando si raggiunge il livello critico apri le valvole e fai fuoriuscire il giusto, tanto per ristabilizzare il livello e poi le chiudi di nuovo.

Quando sono uscita con Hagane e suo marito abbiamo parlato molto di questo argomento e ci siamo trovati d`accordo sul fatto che c`e`questo protezionismo di convenienza in Giappone, mutuato dal fatto che e`un`isola e per tanto tempo e`rimasta nascosta agli occhi del mondo. Da una parte c`e` la voglia di sfondare e di essere una delle piu`grandi potenze mondiali. Questo spinge le aziende a mandare studenti e menti giovani all`estero per apprendere l`Arte e metterla da parte. Questo principalmente perche`i giapponesi stessi si rendono conto di non essere autosufficienti e che i soli geni (DNA) non bastano a renderli i migliori del mondo, ma solo attraverso la condivisione e lo scambio di idee una nazione puo`crescere. Poi pero` devi tornare in patria a diffondere il verbo e ad istruire gli altri su cio` che hai appreso. Il problema si pone quando stai via troppo tempo dal tuo paese di origine:hai difficolta` a trovare lavoro, in certi ambiti inizi a sentirti emarginato…questo perche`tu giapponese che hai passato 4/5 anni all`estero, vieni visto come un “traditore” della patria o comunque uno che ormai e`stato traviato e non e`piu`inserito nel “sistema”, meno incline ad accettare certe assurde regole, meno sottomesso e piu`reazionario (che poi magari non e`vero che diventi piu`reazionario, ma semplicemente cambi punti di vista e inizi a vedere certe storture e ingranaggi mal funzionanti). Dall`altra parte c`e`la necessita` di rimanere tradizionalisti e in un certo qual modo chiusi. Questo aspetto mi ha toccato di recente e ci ho proprio sbattuto il muso perche`,ad esempio, il design giapponese e` uno dei piu`conosciuti e ammirati al mondo. Pero`,se ci fate caso, tutti i designer di spicco, tutti gli architetti famosi, tutti e dico tutti, hanno avuto una formazione estera. E sono loro che hanno reso il design giapponese famoso, hanno introdotto nuovi metodi di apprendimento e di insegnamento, nuovi orizzonti che poi, combinati con il gusto e l`estetica nonche`il pensiero giapponese, hanno permesso di raggiungere risultati eccelsi.

Cosa dobbiamo dedurre da tutto cio`? Che sicuramente i giapponesi sono molto orgogliosi della loro cultura e delle loro tradizioni, ma al contempo, in maniera abbastanza subitanea, si rendono conto della necessita` di un rinnovamento e che questo rinnovamento non puo`che giungere da fuori, dalla commistione, dalla condivisione.

Il sistema non funziona, sta collassando su se`stesso e ormai se ne sono accorti (la crisi c`e`anche qui, il lavoro manca, i ragazzi hanno voglia di andare, fare, conoscere, ma sono spaventati), solo che il tentativo di salvare la situazione cozza terribilmente con la rigidita`stessa del sistema che ontologicamente non prevede ne`permette ingerenze esterne. Il fatto che invece queste ingerenze siano sempre maggiori, crea delle cricche e delle fratture che la societa`non e`in grado di inglobare.

In particolare la sfera dell`istruzione e della formazione e`obsoleta e fin troppo statica. Non c`e`passione nello studio, nella scuola dell`obbligo studi a memoria e impari a pappagallo (questo e`evidente soprattutto nello studio della lingua inglese: sanno benissimo la grammatica e le regole ma non le applicano perche` non fanno conversazione a scuola), senza sviluppare un pensiero indipendente e autonomo, senza capire cosa ti piace davvero. Quando arrivi all`universita` hai sputato talmente tanto sangue sul liceo, i doposcuola e gli esami di ammissione, che non fai (ne`impari) letteralmente un cazzo. L`universita` e`una sorta di rivincita su quell`adolescenza che non hai mai vissuto, anche perche`tanto quello che ti serve lo imparerai a lavoro, l`universita` e` solo il biglietto da visita e la discriminante del tuo posto nella societa`:piu` alto e`il prestigio delle scuole che hai frequentato, piu`alto sara`il gradino nella piramide sociale, ma questo non e` detto che vada di pari passo con le tue abilita`. Vivono questi quattro anni in una bolla. Al terzo anno si mettono a fare job hunting di modo da trovare lavoro un anno prima della laurea. Questo significa che l`azienda investe molto su di te ed e`implicito che tu non la tradirai, che ad aprile dell`anno successivo sarai laureato e inizierai subito a lavorare, tecnicamente per sempre nella stessa azienda, perche` cambiare azienda significa perdere i privilegi accumulati in anni di lavoro, perdere la posizione e il prestigio e, ancora, viene visto come un tradimento e anche la nuova azienda in cui farai domanda ti guardera` con sospetto perche`pensera`:questa se n`e` andata dalla sua vecchia azienda, chi mi dice che non fara` cosi`anche con me? C`e`da fidarsi?

C`e`una percentuale di persone, ai margini del sistema, che pur essendovi immerse, cercano di fare qualcosa per cambiarlo, partendo dal basso, dalle cose piccole, come il corso di Interactive Innovation in cui si parla solo in inglese e in cui soprattutto si discute. Ad esempio il nuovo progetto di interni, del corso di KANGU, che ho iniziato e` su questa linea. Solitamente gli studenti sono abituati ad essere trattati un po` come bambocci, devono essere sempre pungolati perche`sono pigri e soprattutto non gli viene mai chiesto di mettersi in gioco. Ti danno il luogo, le piante , le sezioni, tutti i dati del caso e poi tu ci devi buttare qualcosa dentro. Devi pensare poco, il concept non e`importante. E` piu`importante consegnare tutto il materiale richiesto, poi se l`idea non e`buona, pazienza. In Kangu invece devi prima di tutto pensare al concept, ad avere un`idea forte e non hai un luogo gia` esistente ma lo devi creare tu, decidere tu, buttarti a capofitto dentro. Per farlo devi quindi confrontarti e discutere col sensei. Ieri c`e`stato il primo incontro e vedevo gli sguardi spauriti e un po`a disagio dei miei compagni: non sapevano come comportarsi o cosa dire perche` semplicemente non sono stati mai abituati al confronto e quando il sensei li critica, loro assorbono e stanno zitti. Per questo sono rimasta estremamente stupita quando una delle mie compagne e`venuta da me e in giapponese mi ha dato uno spunto, un suggerimento. Sta cosa non esiste, non si fa, perche`viene vista come un tentativo di mettersi al di sopra di te, e non come qualcosa di costruttivo, per cui ho apprezzato davvero molto. Poi Terahara sensei ha dato 5000 yen (-.-“) a uno dei ragazzi per mandarlo a prendere delle cose da bere e abbiamo fatto il tea break, per parlare e per creare un`atmosfera piu`accogliente e informale. Dopo la lezione ho parlato con i miei 7 compagni (la maggior parte ha scelto infatti l`altro progetto, quello dell`hotel sempre con Ito sensei) e mi hanno detto che sono molto preoccupati e che sembra un corso molto difficile e questo mi ha ricordato quando Morita-san (sbav) mi aveva detto che era difficile spiegare il senso di questo corso e che anche per i giapponesi e`difficile da capire (questo perche` e`un corso fuori dai normali schemi, mentre per me e`la normalita`).

Scusate per gli errori e per il linguaggio, ma ho scritto di getto e i ragionamenti sono abbastanza contorti. Questo e`ad ogni modo quello che penso, sono aperta a critiche e commenti.

図書館 ovvero sugli amori impossibili

Scrivo dalla biblioteca. Quel magico, strabiliante, importantissimo pezzo di design ambulante che è la mia biblioteca. Potrei stabilirmi qui, con una tenda, ma anche senza ed essere in pace con me stessa come un monaco in un monastero buddhista. E principalmente scrivo questo post informativo perché, cazzo, dovete conoscere questa meraviglia, il mondo deve sapere!

La prima volta che sono venuta qui mi è venuta la sindrome di Stendhal. Giuro. Avevo le lacrime agli occhi, per la grandiosa semplicità e l’immensità di questo edificio, progettato da quel gran figone di Sou Fujimoto. La toshokan è a due piani, ma in realtà è fatta a più livelli. Esternamente riprende il logo, nonché architettura principale dell’università, un grande torii in cemento grigio, ma tutta la struttura è fatta in legno, ricoperta da pannelli di vetro strutturale, per cui brilla quando è colpita dal sole. Internamente invece ha un’anima a spirale da cui si dipanano i vari bracci della biblioteca. Tutto il sistema di prestito e restituzione è autogestito e meccanizzato, per cui non ci sono code o intoppi. Basta appoggiare il libro sul touch screen insieme al mio tesserino universitario e da lì posso vedere lo stato della prenotazione, i libri connessi al titolo, all’argomento e al settore e, dulcis in fundo, gli eventi culturali connessi al tema del libro in questione, che si stanno svolgendo in quel momento in tutto il Giappone. Al piano -1 c’è un archivio gigantesco con libri antichi, ma anche pubblicazioni contemporanee e i vari scaffali viaggiano su dei binari che si spostano al tuo passaggio, una cosa tipo alla Matrix. Al livello 1 (in Giappone non esiste il piano zero) invece c’è la reception, varie sale espositive e di studio e i primi scaffali. La cosa più importante sono i black boxes, delle stanze private che solo poche persone sono abilitate a prenotare e in cui puoi letteralmente viverci. Io sono una di quelle persone (perché sono una figa della madonna, of course) e l’ho prenotata per settimana prossima. Posso morire felice.

Una grande scalinata a gradoni, che ospita varie esposizioni, porta al secondo piano fatto interamente di passaggi sospesi retti da leggeri pilastri in legno. Per terra c’è stampato un grande orologio e a ogni ora corrisponde un settore del design, attualmente sono nel terzo, quello di Social sciences. A ogni angolo trovi una seduta famosa e postazioni internet (tutte Mac), che fanno venire un po’ le vertigini perché sono appunto su queste passerelle sospese a mezz’aria, in più ci sono vari tavoli comuni per lavorare e tavoli singoli con dei separè in legno (dove sono attualmente) così nessuno ti può disturbare (3/4 della gente li usa per ronfare). Qui trovate un po’ di foto che danno l’idea dello spazio e del concept di fondo. Farò foto emozionalmente esplicative a breve.

In realtà la sindrome di Stendhal mi viene tutte le volte che ci entro, mi viene voglia di lavorare, essere produttiva, mi viene l’argento vivo addosso, mi sento davvero felice! Lo so che sembro pazza, ma in questo periodo in cui me ne stanno capitando di tutti i colori, in cui la mia vita è stata completamente stravolta da perniciosi avvenimenti (di cui non parlerò, sappiate semplicemente che ci sono stati) e da altri più ameni, la toshokan rappresenta la ma salvezza, la mia oasi incontaminata di produttività e pace.

Oggi tra l’altro ci sono ben 24 gradi, c’è il sole e il vento, insomma una giornata perfetta. Ogni tanto butto lo sguardo a destra, dove c’è questa meravigliosa seduta del 1918, la Zig Zag , mentre poco più in là c’è la Barcellona, su cui ieri ronfava una ragazza. Cioè per me, che per anni ho studiato questi masterpieces, vederli toccarli, addirittura sedermici su, è come l’avverarsi di un sogno. E non sono riproduzioni…sono gli originali prodotti in serie.

E’ difficile capire questi sentimenti se non ci sei dentro appieno, però è come uno che ama intensamente i gelati e improvvisamente si trova nella gelateria più grande del mondo e gli viene offerto di provare gratis e per quanto tempo vuole, tutti i gelati esistenti. Era come durante la Golden Week, quando sono andata a Yokohama e ho mangiato l’impossibile a menù fisso e bevuto come se non ci fosse un domani perché il nostro amico singaporiano aveva scaricato da internet il coupon per aver i free drink. No, ma in realtà non c’è paragone.

E’ proprio come essere innamorati, ci sono tutti i sintomi: farfalle nello stomaco tutte le volte che la vedo, offuscamento della ragione, felicità incondizionata. Solo io potevo innamorarmi follemente di un’architettura.

La toshokan è sicuramente uno dei motivi che potrebbero condizionare le mie scelte future riguardo al restare o meno qui. Ma non si vive di sola toshokan.

Ad maiora.

2 俳句

Mi si è frantumato a terra un piatto, ho un Wally gigante nel padiglione auricolare,  fuori c’è un tornado e sul 12 stanno dando un film di Steven Seagal doppiato in giapponese.

Nessuno ha avvisato il Giappone che la fine del mondo è prevista per Dicembre 2012 e non per oggi?

Ma soparttutto…chi mi ha fatto incazzare in questo modo? [ Lo so io… quel sensei di merda perché oggi mi sono skippata il suo corso!]

Ad maiora.

Creepy Quest, ovvero sul getting lost e varie elucubrazioni romanzate

Premessa 1: il post che leggerete sarà lungo ricco di passione, dolore, poi ancora passione, poi ancora dolore, disperazione, poi vittoria e soddisfazione e vari altri stati mentali che ancora non hanno un nome. Vi prego di credere per filo e per segno a tutto ciò che sto per scrivere, perché corrisponde perfettamente alla  realtà e a come si sono svolti i fatti;  i nuovi lettori (ho avuto un’impennata di visite ultimamente, anche se non so a cosa è dovuto) rimarranno increduli, ma gli aficionados credo che potranno capire perfettamente.

Premessa 2: mettete insieme un pomeriggio nuovoloso, due corvi, un cellulare dimenticato a casa, il mio senso dell’orientamento, tombini colorati, conbini, il mio cervello,  i miei magici poteri e avrete la giornata di oggi.

Dopo aver passato la mattinata sul progetto (divertendomi a inventare cose assurde su AutoCad), avevo deciso di andare a farmi un giro. Inforcata la bici, avevo deciso di andare dalla parte opposta rispetto a dove sta il mio supermercato di fiducia e così ho fatto. Poi. Poi ho deciso di svoltare. Perché avevo visto il cartello (uno dei pochi che trovi in km e km) che indicava Kokubunji sta. e mi sono ricordata di tutte le volte in cui ho cercato di raggiungere la stazione di Kokubunji in jitensha per risparmiare i 140 yen  del treno e mi sono illuminata e mi sono detta: “Ok cervello, cerchiamo di raggiungerla”. In quel momento il cielo si è oscurato, un corvo ha iniziato a seguirmi dall’alto e hanno iniziato a passare a raffica delle autoambulanze (ho idea che avessi inconsciamente attivato il mio solito potere alla Haruhi Suzumiya). Ovviamente dopo quel cartello, non s’è più visto manco un pezzo di carta straccia con su un’indicazione, per cui dopo essermi resa conto che non sarei stata in grado di arrivare alla eki (ero comunque soddisfatta per aver raggiunto la zona) ho deciso di tornare indietro. Ma avevo svoltato. E non ricordavo dove. Maledetta me che faccio sempre le foto agli incroci importanti, maledetta me che avevo lasciato il cellulare a casa (quindi no fotocamera), maledetti i giapponesi che non hanno vie, indirizzi, cartelli, mappe, che non parlano inglese, che è iniziata la GW (Golden Week) e non c’è in giro un cane, maledetto il mio cervello che, passato al lato oscuro, aveva deciso di sortirmi questo malefico tranello.

Cercando di non perdermi d’animo ho provato a fare mente locale e a ritornare sui miei passi, perché sapevo che ero arrivata da un viale alberato nelle prossimità di un incrocio, ma qui c’erano almeno 5 incroci con viali alberati. “Vabbè dai prendiamola come una scampagnata e cerchiamo di goderci la biciclettata, magari poi per culo ritrovo la strada”, così mi sono fermata a un conbini e ho preso una bibita. Uscita dal 7/11 vedo il bus che va a Kodaira sta. e lo prendo come un segno dal cielo, per cui inizio a seguirlo disperatamente, mentre l’arsura mi devasta e i corvi sono diventati due. Mi rendo subito conto che ho fatto la cosa meno intelligente perché mi sono allontanata dall’unico punto certo, quel conbini. Il mio livello di disperazione inizia a salire, a un certo punto perdo di vista il bus e mi ritrovo nella città di Kodaira, una via di mezzo tra Bergamo e la California (quella famosa Kodaira in cui dico sempre di vivere a quelli che me lo chiedono anche se in realtà abito vicino alla stazione di Takanodai, ma non è Takanodai, bensì è Kitamachi, ma nessuno conosce Kitamachi perché ci abitano in 20, di qui la frase: “Vivo nel Kodaira”). Ormai sono troppo lontana dal mio adorato conbini e inizio a pensare alla mia sorte, a quanto mi mancano il mio bel supermercato, il mio Cando, il mio appartamento.

Quando sono in queste situazioni inizio a guardare me stessa come alla protagonista di un film [“Era giovane, aveva tutta la vita davanti, aveva deciso di trovare la stazione da sola. Ha svoltato. Non è mai arrivata alla stazione. “Lost in Kokubunji – paura e delirio nei sobborghi tokyoti”. A Natale, nei cinema”] o di un fatto di cronaca [“Giovane designer del Kodaira, scomparsa il pomeriggio del 30 aprile 2012. Portava un vestito verde, capelli acconciati a cipolla.”]. Nel frattempo cercavo di discutere col mio cervello: “Perché mi sei ostile? Perché non collabori e invece ti prendi gioco di me in questo modo? Sei stato per caso contagiato dal maledetto morbo “ki o tsukau“? Perché non mi vuoi dire dove cazzo sto andando, dove cazzo ho sbagliato a girare? Tu che ormai ti sei giapponesizzato vuoi mettermi alla prova e insieme a questo maledetto Paese capire se sono in grado di sopravvivere anche a queste situazioni??”. In risposta ho solo ottenuto una sarcastica risata.

Ci avevo messo mezz’ora per arrivare lì. Era passata più di un’ora e ancora non avevo trovato la strada del ritorno. Avevo la mente affollata di NishiTokyo, Koganei, Higayama, Kodaira-ocho, -bucho, -osho, -bashi, Kanji incomprensibili, continuavo a bere come una dannata e intanto la disperazione era arrivata a livelli incommensurabili, tanto da pensare di raggiungere in qualche modo la stazione di Kodaira, mollare lì la bici e tornarmene in treno, oppure di passare tutta la notte in un conbini o di cercare un internet cafè e cercare da lì la strada, ma ovviamente nulla di tutto ciò era a portata di mano.

Nel frattempo dentro di me piangevo come un vitello, ma fuori ero stoica come solo un giapponese sa esserlo, fingendo di apprezzare e interessarmi a quello che vedevo intorno a me, non lasciando trapelare il minimo accenno di angoscia turistoide. Oppressa e ormai con l’acqua alla gola avevo trovato una mamma in bici con prole a carico e avevo pensato che una mamma è una mamma anche in Giappone e sarà mammesca anche con me che sono una povera gaijin lost. Per cui con cautela e con un filo di voce mi sono avvicinata: “Sumimasen…per favore mi dica dove sono…” (mostrandole la cartina della metro che quella santa donna di Hiromi-san mi aveva dato)  e lì è successo quello che mi capita da un paio di settimane a questa parte e che potrei definire il mio secondo potere magggico: capire tutto quello che mi viene detto. In situazioni normali sarebbe impossibile, poichè come ben sapete non so una ceppa di giapponese, il corso di giapponese che faccio in uni fa cagare e non so instaurare una conversazione. Ma. Ma probabilmente in situazioni d’emergenza si risvegliano dei neuroni sopiti o si attiva una sorta di antenna babilonica che converte tutti gli impulsi in entrata in idiomi a me comprensibili (anche se a me piace pensare che sia un potere magico alla Creamy), sta di fatto che riesco a capire per filo e per segno quello che mi viene detto. Per cui mi sono resa conto che arrivare a Kokubunji era ormai impossibile e che era meglio passare per Kodaira, farmela dritta fino a Ogawa e poi puntare verso Takanodai (suggerimento della signora), al suono del suo “Ganbatteee!” con la figlia che agitava il pugnetto in aria, mi sono diretta verso Kodaira (non prima di aver fermato un galoppino della Co-op per chiedergli ancora indicazioni).

A un certo punto, come nei migliori film, mi sono ritrovata a ripercorrere una strada che già avevo fatto un paio d’ore prima e poi ho ritrovato il mio amato 7/11. Quell’esatto 7/11 che avevo lasciato alle 3.30 pm e poi. Poi mi sono guardata intorno e mi sono resa conto che stavo guardando quel diavolo di incrocio da un altro punto e che di fronte a me c’era quell’esatto viale alberato che mi aveva condotta lì. Era sempre stato lì, appiccicato al conbini, ma io, cieca e offuscata, non avevo saputo guardare bene. Ho ripreso la strada di casa, col cuore gonfio di gioia, un sorriso a 48 denti disponibile per ogni passante che incontravo, pacche sulle spalle, lo sguardo tronfio e lungimirante di una persona che ce l’ha fatta, che ha vinto la sfida contro se stessa, che ha battuto i suoi limiti. Un’ occhiata sorniona gettata a quel negozio “ah sì, ci sei anche tu, yeah negozio! Ora che so la strada verrò a trovarti più spesso!!”, gesti alla yes man e alla Fonzie verso quegli shop e quei punti di riferimento che mano mano ritrovavo. Una scia di gagliardìa e fierezza mi seguiva, nonostante non sentissi più il coccige dopo 3 ore di pellegrinaggio.

Infine l’apoteosi: forse per premiarmi di tutti i miei sforzi le divinità mi hanno concesso questo dono, ovvero ritrovare il Lawson 100 dopo un mese che lo cercavo invano. Dovete sapere che il Lawson 100 è il level up dei conbini, perché è un conbini yakuhen shop (ovvero un conbini che quindi ha la varietà di prodotti di un conbini normale, ma in cui tutto viene venduto a 100 yen, o meglio a 105 yen con l’iva e puoi trovare qualsiasi genere di items e cibo), ma sfortunatamente e furbescamente direi, ce ne sono pochissimi e sono difficili da trovare. Ebbene entrata in questo paradiso, mi aggiravo come accecata da cotanta cheapness e i commessi mi guardavano sapendo per certo che io ero una vincente, che avevo appena superato una grande prova, e i loro occhi sembravano dire “sì lo sappiamo, sei salva, ce l’hai fatta, sei un esempio per tutti noi” e sembravano lanciare metaforiche pacche sulle spalle e strette di mano. Mi meritavo un bel regalo per tutto ciò e infatti mi sono comprata il detersivo per i piatti (dopo aver scoperto con raccapriccio di aver utilizzato per settimane il dishwasher come body soap), il taglierino, le forbici, un pacco di verdure surgelate e una cosa che credevo fosse deodorante per ambiente al profumo di rosa, ma che invece spara una schiuma.

Mentre ritornavo nella mia cittadina,  i palazzi, le case sembravano piegarsi verso di me, come se volessero darmi il bentornata dal mio dantesco viaggio e potevo percepire anche il festoso “bzzzzz” del maestoso traliccio dell’alta tensione vicino a casa mia, lievemente inchinatosi per l’occasione.