Sui compromessi, i pigiami a fiori e i francesi aka life in Phnom Penh

bmjbnSabato. Io adoro il sabato. Il week end è appena iniziato e ci sono due giorni pieni da godersi appieno senza stress, deadlines, capi isterici che ti scrivono da Singapore ricordandoti di ricordargli di ricordarmi di trovare il tempo per quel meeting sulla nuova interfaccia del sito internet o sui nuovi tag da aggiungere…pace. Un bicchiere di succo di mela, un rooftop con una bella piscina con idromassaggio e il caos di Phnom Penh in lontano sottofondo.

E’ difficile ottenere il totale silenzio in questa capitale oppressa dal caldo e dalla cementificazione; proprio di fronte a me ora vedo dieci palazzi in costruzione, con le caratteristiche impalcature in legno e gli operai che quando non lavorano vivono dentro lo scheletro in costruzione. Il risultato alla fine sarà decente, un pugno nell’occhio dal punto di vista dello skyline architettonico, ma sicuramente specchio dello spirito di questo Paese.

Non vorrei fare la solita noiosa analisi socio-economica del paese perchè sicuramente la potete trovare in ogni guida Lonley Planet e in ogni caso è molto complessa e ambivalente, ma posso darvi il punto di vista di un residente e non di un turista, il che non fa mai male nel caso un giorno vi svegliaste con la voglia impellente di lasciare amici famiglia e amori e trasferirvi a 7 ore di fuso e 2 giorni di volo da casa vostra.

Se decidete di trasferirvi qui sappiate che dovrete abbandonare molte delle comodità a cui siete abituati:

vasca o doccia separata: le case khmer (cambogiane)  e quasi tutte le case occidentali qui non hanno la zona wc separata dalla zona doccia; c’è un unico locale con lavandino, tazza e doccia sopra la tazza, il che lo rende molto comodo nel momento in cui vi volete fare una doccia seduti, o una doccia mentre esprimete la vostra interiorità. Vi è poi un rubinetto nel mezzo del muro (totalmente a caso) per riempire il secchio per pulire il pavimento e un comodo doccino al lato del water per lavarvi le pudenda (non si usa spesso la carta igienica poichè le tubature si intasano facilmente);

mezzi di trasporto pubblico: a PP (Phnom Penh) c’è un servizio bus che costa anche una miseria (1000riel=20cent per biglietto) fa delle fermate prestabilite, ma non si sa che orari faccia. A volte vedo persone aspettare, ma non parlano inglese quindi non so come farmi spiegare e comunque non è molto comodo. I principali mezzi di trasporto sono il tuk tuk (un motorino con attaccato un risciò che costa sui 2$ a seconda della tratta), la moto (un motorino di bassa cilindrata che può portare da una a quante persone ci stanno lol) e raramente il taxi o il risciò (che io non prendo mai perchè è guidato da anziani per lo più e provo empatica pena nel vederli faticare in quel modo). Se avete abbastanza soldi potete comprare una bici (30$-70$) o una moto (200$-400$) usati, ma state attenti a chi ve li vende (qui le sòle si sprecano) e se prendere la moto fatevi dare la patente del proprietario: se vi fermano non vi chiederanno mai la vostra, ma la licenza del proprietario (qui non è “necessario” avere la patente canonica – chiunque può guidare).

Continua a leggere

Sulla solitudine diabetica e le dipartite apatiche

imageL’altro giorno ero a Wimbledon a cercare di fare acquisti per mia mamma a cui non ho fatto nemmeno un regalo di Natale. Presa dalla foga dello shopping (conclusosi in un nulla di fatto) ho perso il guanto destro e ho mollato l’ombrello nel Mall, per poi ricordarmi quasi uscita, che lo avevo lasciato su una ringhiera mentre ero intenta a cercare il guanto svanito.

Tornando di corsa indietro ho visto il primo esemplare di diabetico da quando vivo qui. Non esattamente il migliore esemplare: una ragazza sotto i trent’anni, molto in carne, con una maglia lunga, ma non abbastanza da coprirle una pancia molto sporgente che pendeva da sopra i jeans stretch; ombelico e adipe bianchissimi che vibravano come gelatina e da cui penzolava un cerotto con una base in plastica e un catetere. L’ho riconosciuto subito, il tipo che anche io uso, e nonostante la scena un po’ grottesca, mi sono sentita “a casa”, sapendo che qualcun altro condivideva la mia stessa sorte.

Perchè se è vero che i diabetici sono milioni nel mondo, è anche vero che nella vita quotidiana si è soli. I tuoi amici, il tuo partner, la tua famiglia, i tuoi colleghi, molto difficilmente saranno a loro volta diabetici e molto difficilmente riusciranno a mettersi nei tuoi panni.

Di ritorno sul 93 per Putney Bridge ho cercato di capire, o anche solo di immaginare, quali passeggeri fossero insulinodipendenti; non ho avuto fortuna, ma del resto chi mai direbbe che io sono diabetica?

Chiudendo questo frangente, Continua a leggere

Piccole Susanne crescono

#happinessOggi è una giornata climaticamente perfetta, ignoro il fatto che dovrei depilarmi le gambe, mi faccio selfies (autoscatti nda) che mi catapultano alle Bahamas, mi chiedo perchè non ho un marito bello, bravo, giovane e talentuoso come Tom McFly e prendo lezioni di guida con mio padre.

Anche io alla fine sto cedendo ai dogmi della società contemporanea e mi sto trasformando in un membro attivo, indipendente, responsabile delle proprie azioni, in grado di guidare un mezzo locomotore. “In grado”, “guidare” e “mezzo locomotore” sono ovviamente degli eufemismi, dal momento che per ora mi limito ad andare a 35 km/h con la mano di mio padre piantata sul freno a mano e il codazzo di gitanti della domenica che chiedono solo di andare a svaccarsi in Svizzera e invece devono sorbirsi la Susannina al volante.

E’ il caso in cui davvero il detto:”Donna al volante, pericolo costante”, è valido. Validissimo. Gli amici con cui faccio pratica non hanno il cuore di dirmelo anche se leggo il terrore e il panico nelle loro pupille dilatate e nei rigoli di sudore che adornano i loro colli. Mio papà invece non ha nessuna remora ha sottolineare il fatto che sono un pericolo pubblico, non tiene conto dei miei precedenti e mentre inforco la terza senza guardare l’anziano che sta attraversando le strisce pedonali, sento il suo sguardo ricolmo di pentimento e rammarico per non aver avuto un figlio maschio. D’altronde lui lo fa per lavoro (guidare, non generare figli maschi). Continua a leggere

L’evidente disagio mentale dei teen agers

Ok.xbbccw

Più mi addentro nella nuova generazione, più mi rendo conto che c’è qualcosa che non va. C’è una frattura, una stortura, un crash di sistema in questi cervelli che produce dei risultati esasperanti. Se bisogna riporre le speranze per il futuro nei giovani, è meglio iniziare ad accendere qualche cero, perchè vi assicuro che le premesse non sono buone, anzi sono pessime. Parlo principalmente delle ragazzine tra i 12 e i 16 anni, ma anche 17 e 18. Ovviamente (ma è sempre bene precisarlo) non mi riferisco a tutte quante, ma a una buona fetta. Ebbene, queste ragazzine hanno scambiato la libertà fornita da internet come un pascolo dove dare sfogo alle loro più torbide passioni e scatenare guerre tra i famigerati FANDOM.

Cosa sono i fandom? Sostanzialmente sono dei grandissimi gregge di ragazze (il 90% sono femmine) che hanno un idolo in comune e che si proclamano grandi famiglie (alla Seventh Heaven), ma che poi nascondono faide intestine e odi latenti (un po’ come quando Mary Camden era stata ostracizzata dalla famiglia perchè aveva lanciato la carta igienica in palestra e alla fine era diventata la puttana della città).

Girovagando in internet ho trovato questo racconto; è solo uno tra i tanti, i contenuti sono espliciti, per cui se non ve la sentite non proseguite nella lettura. Ho censurato nomi e riferimenti (sostituendoli con innocenti personaggi della Disney) perchè non è importante a cosa/chi si riferisce, ma ciò che viene comunicato. Queste persone (perchè cazzo sì, sono persone anche se stentate a crederci) hanno un disagio.

Qualcuno le curi. [I commenti in corsivo sono miei].

Enjoy. Ma anche no.

DISCLAIMER: Ai lettori normali e seri, con una famiglia, una morale e un contegno dico di fermarsi qui. A tutti gli altri dico di continuare.

Continua a leggere

Dovrebbero invitarmi a un talk show

tampaxDISCLAIMER: prima di alimentare polemiche inutili, vi dico che in questo post non attacco nessuna band, nè personaggio; le mie sono considerazioni sull’industria che ci gira intorno, ho massimo rispetto per i gusti musicali di chicchessia e anzi sono sempre aperta a scoprire nuovi mondi, quindi take it easy.

Vorrei pubblicamente ringraziare mia sorella (che non è mai stata citata molto inquesto blog,shame on me) per avermi fatta rendere conto di quanto io sia vecchia e di come mi sia pubblicamente smerdata con questa affermazione:”Non credo di aver mai ascoltato consapevolmente una sua canzone, in ogni caso credevo che David Guetta fosse siciliano”.

Essendo io una persona estremamente aperta, mi sto acculturando riguardo il suddetto tizio (che non è siciliano, bensì francese), poichè la suddetta sorella stasera andrà a Roma a stropicciarsi i vestiti e l’anima assistendo a un suo concerto (che poi è un concerto o una festa in discoteca? Non è molto chiaro).

In ogni caso mi sto intamarrendo mica poco da quando la sopracitata sister mi ha regalato JUST DANCE 4 per Natale, dietro le mie estenuanti pressioni. Ebbene mi si è aperto un mondo! SKRILLEX, NICKY MINAJ, JUSTIN BIEBER… voi mi direte:”Chi sono?” e io vi risponderò:”Poche persone che si sono fatti una fracca di soldi sulla pelle di milioni di ragazzine che si strappano le mutande ai loro concerti e soffocano i loro pianti nel  cuscino perchè sanno che nessuno saprà mai della loro esistenza…”. Continua a leggere

Not a perfect world, just a better place

Parliamo un po’ di futuro.

Solitamente non lo faccio perchè non sbandiero le cose ai quattro venti, ma l’inattività mi spinge a pensare e ormai anche le fantasie su Robert Redford hanno perso di slancio adrenalinico.

Ormai ho quasi deciso che dopo la laurea tenterò un PhD, non perchè ami particolarmente studiare o sia naturalmente portata a passare il tempo su libri e pubblicazioni, ma semplicemente perchè è un ottimo modo per fare quello che voglio fare davvero, viaggiare. E quale modo migliore se non quello di approfittarsi di ottime università che investono nel tuo potenziale?

Ovvio vincere un dottorato non è una cosa semplice e soprattutto immergersi in questo mondo fatto di dead line, cavilli, giurisdizioni oscure e cambi valuta improponibili significa entrare in un tunnel da cui difficilmente si riesce a uscire, ma visto che ho la fortuna di poter scegliere tra un lavoro ordinario e uno intellettualmente stimolante (perché ho le facoltà mentali e i titoli di studio adatti a farlo) se non altri vedo come va, poi se la strada del ricercatore non dà i suoi frutti tornerò a fare la fruttivendola, ma sarò una di quelle fruttivendole che non si pettinano mai e che ammorbano i malcapitati con aneddoti scomodi e prolissi.

La domanda legittima e spontanea ovviamente è: se fare il ricercatore richiede una cospicua dose di abnegazione e culo rotto, perchè tu ci vuoi provare?

Essenzialmente perché non ho di meglio da fare. Di stare con le mani in mano non sono capace e al di là di stipendi, pensioni, trattenute e tredicesime, ognuno dovrebbe fare in modo di ottenere quello che vuole ad ogni costo, di spremere la vita finchè ne ha la possibilità e di non farsi schiacciare troppo dalla società, cedendo a qualche compromesso ma neanche troppo.

Intendo dire che spesso, intruppati in tutti gli obblighi sociali, ci dimentichiamo di vivere felicemente, e ci limitiamo semplicemente a vivere per soddisfare dei bisogni puramente materiali.

Mettiamo che il ragazzo K. a 19 anni è un po’ svogliato, non vede molto al di là del suo naso e non gli piace stare troppo sui libri. Finita la scuola dell’obbligo si prende qualche mese per spassarsela poi inizia a cercare lavoro e diventa un operaio non meglio qualificato e passa da un contratto a tempo determinato all’altro. Aspetta agosto per farsi le vacanze al mare con la tipa a Iesolo o con gli amici a Ibiza, la tredicesima per pagarsi la rata della macchina che gli dà indipendenza e patina da fico e il lavoro in magazzino, sì magari pesa un po’ ma i soldi servono per la benzina, le serate in disco e la cintura di Kalvin Klein. A 25 anni il venerdì sera si ritrova al bar a lamentarsi del lavoro che non va, del capo che è una merda e della figa di legno che ha incontrato a Sharm el Sheik. A 30 anni incontra la donna della sua vita e contemporaneamente inizia a correre come un criceto impazzito per trovare un contratto a tempo indeterminato, qualunque esso sia. Dopo due anni lo trova e riesce ad affittare un appartamento con la futura sposa che dopo altri due anni figlia. L’uomo K. ora ha bollette, asili, domeniche preconfezionate, discount, assicurazioni, preoccupazioni sulla pensione, il futuro dei figli, la canizie.

Poi c’è il ragazzo J. che ha anche lui 19 anni, ma ha già subodorato qualcosa del futuro di merda che lo attende e decide di farsi il culo in una università spaccaossa, che riesce a finire in corso e con un buon voto. Durante i 5 anni di università ha fatto un po’ di lavori per pagare le tasse universitarie e qualche vacanza con gli amici, qualche attacco di panico pre-esame e  a 23 anni vince una borsa di studio per un semestre a Hong Kong. Pensa che sono tutti un po’ fuori di testa lì, ma che è comunque un’esperienza. A 25 anni tenta vari stage sottopagati nel suo paese, ma non ingrana, così inizia a mandare CV a destra e a manca e viene preso per 4 mesi ad Ankara come stagista, poi vede il bando di concorso per un posto da ricercatore a Val Paraìso e nel frattempo fa domanda in altri 18 atenei sparsi per il mondo. Non viene preso a Val Paraìso, ma a Stoccarda per due anni e mezzo. A 30 anni trova la donna della sua vita e contemporaneamente inizia a pensare a un posto dove mettere radici, perchè inizia a vedersi bene con qualche pargolo scorrazzante per casa, così accetta un incarico annuale a Stoccarda, ma poi tenta un altro concorso per Seattle e questa volta lo vince e lì inizia a collaborare stabilmente con l’università. Dopo due anni riesce ad affittare un appartamento con la futura sposa che dopo altri due anni figlia. L’uomo J. ora ha bollette, asili, domeniche preconfezionate, discount, assicurazioni, preoccupazioni sulla pensione, il futuro dei figli, la canizie.

Il sunto è che alla fine sia K. che J. muoiono, perchè tutti moriamo, ma forse J. avrà qualcosa da scrivere in più sulla lapide perchè non si è accontentato subito della via più facile e in punto di morte avrà raccontato tutte le cose che ha visto in giro per il mondo, prima di mettere radici in quella città e di mettersi a fare una vita uguale a quella di K.

Perchè a meno che non sei ricco sfondato o un asceta non scappi dalla società, l’uomo al di fuori della società non esiste dicevano i giusnaturalisti e noi essendo figli della nostra era, siamo uomini che vivono in una società piena zeppa di restrizioni, codici, obblighi.

Il segreto sta nel far credere alla società stessa di stare al gioco, di vivere secondo i dogmi, sfruttando la sicurezza che inevitabilmente una realtà così strutturata ti dà, mentre tu vivi davvero.

Ad maiora.

Perchè suddenly anche io sono una donna

Siamo a settembre. E ogni scusa è buona per non studiare (non è un caso che stia scrivendo ora un post). Sono seduta in felpa e calzettoni, col thè nero che l’Occhio di Sauron ha preparato stamattina assieme alla colazione Istanbul-amarcord, che ho sapientemente dribblato per non dovermi fare 500 unità di insulina in un botto solo e poi  fare la fame il resto della giornata cibandomi solo di cicoria e coca zero.

L’altro giorno (quando ancora c’era quella cosa chiamata estate) mi ha scritto un’ amica S., informandomi che stava per mettersi della pellicola per alimenti sulle cosce. Così, a caso. In realtà so benissimo che nel preciso istante in cui avete letto questa frase si è aperta una voragine nel terreno e il parco-lettori si è diviso in 3 gruppi: le donne che sanno di cosa sto parlando, le donne che non sanno di cosa sto parlando, e gli uomini.

Tu, manzettina dai 5 ai 15 kg in più che hai intravisto la luce della magrezza in fondo al tunnel del grasso molesto e no-more-hidable, tu sai di cosa sto parlando. Tu invece, donna baciata da un dio cinico e ironico che non sa cosa sia una plus-size o un contacalorie, tu per favore, vai a vedere i tutorial di makeup sul tubo e non scassare. Tu uomo, infine, che hai pensato subito a questo perchè non sai la differenza tra pellicola e alluminio, ti do un bacetto sulla fronte e se sei figo ci vediamo dopo.

Ebbene, dicevo, S. perché vuole impacchettarsi come manco Christo (l’artista, non l’amico barbuto) saprebbe fare, in un ammasso di polimeri plastici con difficoltà di deambulazione? Per dimagrire ovviamente, o per avere l’illusione di farlo.

Le donne che sanno, le donne che hanno colto, sapranno benissimo come rubare il cellophane alle loro madri, applicarlo con contrito e rituale dolore sulle cosce e sull’addome, maledendo il giorno in cui non vi siete depilate per pigrizia, con una maestria tale per cui Paul Bettany probabilmente vi avrebbe lasciato la parte del monaco albino di “The Da Vinci Code” senza batter ciglio. Dopo di che o la pigrizia vi assale e rimanete spaparnzate sul divano a lasciare chiazze odorose della vostra persona o con un ultimo grande sforzo vi piazzate sulla cyclette e iniziate la vostra personalissima via crucis fatta di:

playlist non adeguate per cui non riuscite a tenere il ritmo;

vicini oscenamente impiccioni che si sistemano in poltrona a osservare voi che sputate sangue;

piedi che scappano dai pedali;

mani che non sanno se reggersi ai manubri che non hanno mai la giusta inclinazione, o se fare esercizi per i fatti loro (un’ Ether Parisi dei poveri insomma);

muscoli che, assopiti, si svegliano nella nebbia di grasso e messi in moto a caso, si girano e ti urlano: “CHE CAZZO FAI!!!!!!”*;

interni coscia in fiamme;

la tua vagina, che non sa stare mai al suo posto e viaggia, col supporto del sudore, in lungo e in largo sul sellino;

sudore nei capelli (e tu ovviamente che sei lungocrinita sai benissimo che dovrai lavarli ogni santissima volta);

maglietta della Decathlon col sudore mappato su di essa, tipo texture militare.

Ma alla fine, dopo i tuoi 50 minuti-1 ora di martirio, scendi barcollando e con le gambe che tremano, madida, ti srotoli di dosso la pellicola, lasciano una scia lumachesca, e vedi il sudore raccolto, i pori della tua pelle che annaspano e che senti distintamente gridare:”ariaaaaaaaaaaaaaa“. In quel momento sei soddisfatta, ti guardi allo specchio, sfranta come una battona a fine turno, ma l’occhiettino brilla, l’autostima non è più incastrata assieme a Lucifero, laggiù nella bocca dell’Inferno, ma diciamo che è leggermente risalita. Il cellophane ha fatto il suo dovere, o almeno credi dato che non ci sono prove scientifiche/studi specifici a riguardo; ora giace sul pavimento del bagno, esanime. Con un ultimo guizzo di vita volge lo sguardo alle tue chiappe rosse.

Ogni giorno una pellicola si alza e sa che dovrà abbracciale epidermide flaccida e cosce cellulitiche e che in ogni caso verrà uccisa. Save it.

Ad maiora.

 

 

*battuta ispirata a: Ma ti sei vista?

ps: ah e se vi chiedete perchè abbia farcito il post di metafore e paragoni biblici, sì oggi mi sento misticamente ispirata.

Paura e disaggio a Roma, ovvero se ci strofini esce fuori zucchero filato

E ci voleva un week-end a Roma, per farmi apprezzare un po’ di più il tempo che sto trascorrendo qui e per farmi dire che sì, l’Italia non è perfetta, ci sono tantissime cose che non vanno, ma non ha senso mettersi lì ad elencarle sputando su ogni singolo aspetto, ingigantendo ogni dettaglio, perchè ci sono tante altre cose uniche, che non trovi altrove e che non è mai troppo tardi per scoprirle e amarle.

Essendo io una viaggiatrice squattrinata e tirchia, ho visto poco dell’ Italia, poichè, come tutti sapete, è paradossalmente più conveniente viaggiare in Europa invece che nel BelPaese, ma non avevo mai visto Roma e sinceramente me ne vergognavo un po’, andare in capo al mondo, incontrare centinaia di persone provenienti dai quattro angoli del globo che ti dicono quanto è bella e magica ed eterna e tu non sai che rispondere. Shame on me, insomma.

E’ stata un’occasione particolare e infatti non ho visto molto della Maggica, ma era la compagnia ad essere speciale e questi tre giorni sono stati a dir poco indimenticabili, allucinanti, assurdi (molto molto vicini a questo), a partire dal viaggio d’andata su un lussoso FrecciaRossa in economy dove per poco non mi sono beccata una broncopolmonite e dove i miei buoni propositi di studiare ardentemente sono sfumati nel momento in cui mi sono resa conto che c’era il wifi. Mi sentivo come la tipa dello spot della pubblicità delle ferrovie svizzere (diciamo che non era esattamente così, anche perchè io sono immensamente più figa), poi quando sono arrivata a Termini ho travolto con la mia gioia e le mie tette I., l’altra organizzatrice del w.e., torinese per finta, nonchè una delle mie più care amiche, che non vedevo dall’anno scorso. A darmi il benvenuto anche quel grezzone di A., che insieme allo spumeggiante F., sono la romanità in persona e di cui mi sono profondamente e metaforicamente innamorata.

Ci vorrebbe un capitolo a parte sulla guida dei romani, che io volutamente tralascerò, per saltare al capitolo bed&breakfast, che in realtà di breakfast aveva ben poco data la penuria di cibarie (la mattina successiva abbiamo preferito colazionare in un bar) e che non era quello originario perchè lo stesso giorno delle turiste americane avevano fatto saltare in aria il cesso (voci non confermate sostengono che avessero buttato nello scarico degli assorbenti, interni) e quindi era inagibile.

Nel corso della giornata di venerdì ci siamo incontrati con tutti gli altri e sfidando la calura siamo andati a fare un giro e poi a cena. In questi tre giorni penso di aver dormito un totale di 5 ore o poco più, dalle 6 alle 9 a.m. . Roma è una città stupenda, piena di vita, sempre in movimento ma al contempo placida, dove la gente ha capito come vivere bene e senza essere grigia dentro. Bisognerebbe farci un Erasmus, io ce lo farei l’Erasmus a Roma, perchè secondo me c’è tutta una subcultura giovane che non riesci a carpire in qualche giorno o in una settimana, ma solo vivendola intensamente.

Non posso rivelare quello che è successo in questi giorni, ma si sa, quello che succede a Roma, rimane a Roma! Posso dire però che forse un po’ tutti siamo cresciuti in queste 72 ore, raccontandoci le nostre storie, di come I. sia finita 3 settimane in coma per via di continue e gravi ipo, di come io una notte mi sia svegliata completamente cieca e battendo i denti abbia raggiunto la cucina e  ingurgitato dei cho a caso per non svenire, di come A. e molti altri abbiano avuto valori HI e LO (rispettivamente sopra i 650 mg/dl e sotto i 17 mg/dl) e di come, nonostante ogni giorno combattiamo come leoni, alla fine siamo dei ragazzi normali, che non siamo diversi, ma un po’ speciali sì, e che l’unico limite che mai potremmo porci siamo noi stessi.

Che a quelli che ci compatiscono perchè credono che siamo malati e a quelli che ci biasimano perché non ci curiamo abbastanza, io dico che non avete capito un cazzo.

Ad maiora.

Summer hardcore

Ieri sono andata in centro città a fare un aperitivo con un mio amico che non vedevo da tempo. Dopo aver perso il bus, aver scoperto verità nascoste, essere scesa alla fermata sbagliata, aver fatto la splendida dicendo che aspettavo da tempo lì e lui non c’era (il messaggio diceva testualmente:”sto facendo la ragazza immagine davanti all’entrata del Mazzini” giusto per darmi quel piglio di donna self-confident col tacco 15), salvo poi farmi notare che avevo tragicamente e catastroficamente sbagliato luogo d’incontro, mi sono goduta l’afa e i wurstel verdi dell’insalata di riso (cfr. la freschezza dei sapori di una volta). In tutto ciò sentivo intorno a me gente che si lamentava del caldo, dell’umido, delle temperature…e tutto questo mi ha riportato indietro, a quando vivevo in Giappone e a quanto lì il caldo non fosse minimamente comparabile a quello europeo.

Intendo, non è per dire “voipoveraccicosanepotetesapereIOsocom’èilverocaldoIOhosoffertoepatito”, ma è un dato di fatto. L’estate in Giappone è più calda, più torrida, più umida, più infernale. Se sopravvivi a quella, il tuo organismo cambia, le tue ghiandole sudoripare subiscono una mutazione genetica (e il fatto che io vivessi a 2.30 ore da Fukushima è solo un fortuito e non collegato caso) e il tuo istinto di sopravvivenza si acuisce in diverse e variegate maniere.

Mi ricordo quella volta in cui ero sperduta in una foresta di bamboo ed erano le 2 di pomeriggio, il sole era a picco e sembrava essere allo zenit da 4 ore, senza mai calare. Stavo ringraziando svariate divinità per avermi dato l’acume necessario per comprare i generi di primo soccorso di cui vi parlerò in seguito e intanto pregavo le stesse divinità affinché mi liberassero da quel supplizio. Camminavo per forza d’inerzia, la strada era pure in salita e io mi chiedevo come fosse possibile che esistesse un posto del genere. Cioè com’è possibile che possa esistere un posto nel mondo in cui ci sia una combinazione simile di afa, umidità, caldo, insetti e sole? Il mio cervello non riusciva a elaborare e sintetizzare le informazioni e gli stimoli provenienti dall’esterno e non riuscivo a giungere a una conclusione razionale. Faceva talmente caldo che mi bruciavano gli occhi perché il sudore colava da ogni parte e convergeva magicamente nelle mie pupille, per cui ero accecata dai miei stessi fluidi corporei mentre il primo salva-vita mi stava davvero salvando la vita: la salvietta tamponasudore (di Totoro), opportunamente inumidita ogni qualvolta ne avevo la possibilità e che oltre ad asciugarmi il sudore mi manteneva anche la testa fresca. Sembravo uno di quei sarariman (salaryman) di mezza età che si tamponano la fronte ogni tre secondi o  i turisti tedeschi in sud Europa con la salvietta sulla testa.

L’altro salvavita, il diffusore da 15 ml di 無印良品 [Muji], serviva relativamente perché spruzzava acqua su un corpo già drammaticamente bagnato e soprattutto non era acqua fresca. Quando trovavo un tempio con una fonte o un ruscello mi fiondavo e mi facevo la doccia, tra il disgusto generale degli autoctoni che ovviamente non versavano una goccia di sudore e anzi, le allegre comari erano pure coperte all’eccesso per non abbronzarsi, sul risciò con la copertina rossa di ciniglia, santoiddio, di ciniglia, mentre il povero trascinatore di risciò (non conosco il nome tecnico), secco come una dried plum, portava una americano obeso con la consorte asiatica, per un totale di 150 chili credo.

Sudore e acqua si mischiavano in un mix letale di disperazione e agonia e quando credevo di aver raggiunto il climax ecco che giunge il paradossale, l’inaspettato: mi sudava un ginocchio. Intendo dire, non era un rigolo di sudore che dall’addome o dall’ inguine era sceso verso la gamba e quindi toccato il ginocchio, ma era proprio una goccia di sudore generatasi autonomamente dall’epidermide del ginocchio e che bruciando scendeva verso lo stinco.

Mi sono fermata e ho fissato per un numero imprecisato di minuti il mio ginocchio e sopportando stoicamente il bruciore, ho avuto una sorta di epifania, come se il mio ginocchio si fosse tramutato in un fonte battesimale o in una di quelle madonnine piangenti, solo che invece di piangere sangue, piangeva sudore.

Dopo 3 ore, 3 litri d’acqua ingeriti, 6 evaporati e un paio di chili in meno, sono riuscita a terminare la camminata e a uscire dal labirinto dei bamboo che frusciando mi dava l’arrivederci e io piombavo in un ancor più umido centro abitato.

Tutto per questo per ammonirvi e non lamentarvi troppo del caldo, perché c’è sempre qualcuno che sta peggio di voi!

Ad maiora.

雨季

Dopo giorni e giorni, finalmente passo un (tardo) pomeriggio a casa. Forzatamente. Perché tra qualche ora dovrebbe passare un bel ciclone tropicale che percorrerà il suo sentiero dorato, passando anche per di qui. Per ora c’è solo una grande pioggia (da stamattina), ma hanno già chiuso un sacco di uffici. Prima ero in università, tentando di fare qualcosa per la presentazione di giovedì, ma c’era un’atmosfera generale di pigrizia e immobilità e sono queste situazioni che mi gettano in uno stato di angoscia surreale. Non ho mai capito perché mi succede, ma inizio a sentirmi male, mi palpita il cuore, mi sembra di essere incatenata a un muro, vorrei parlare con tutti, fare ottocentomila cose e invece sembra che il tempo non passi mai, l’orologio segna sempre le 15.40 e tu ti chiedi perché ti senti soffocare. Vorresti entrare nel cervello di tutti quelli che ti stanno intorno, scoperchiarlo e carpire i loro pensieri … insomma vorresti che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa e invece niente accade. Penso sia l’effetto della stagione delle piogge qui.

L’idea di passare le prossime ore in questo stato non fa che alimentare la mia angoscia esistenziale e siccome so che questo mi porterebbe brevemente a controllare ossessivamente la bacheca di fb per intercettare qualsiasi notifica/movimento di persone, stasera mi vedo un film con S. e preparo sta benedetta presentazione per giovedì, visto che il modello non lo posso finire, essendo tutto in università. Ho mollato tutto lì perché a un certo punto è suonato l’allarme tifone e hanno annunciato che a causa dell’uragano l’uni avrebbe chiuso alle 18 per cui non aveva molto senso restare lì ancora.

Le settimane passate sono state ricche di eventi e infatti non sono quasi mai stata a casa, complice il bel tempo e gli amici, sono sempre stata in giro. Sembra quasi che la fine del corso di Mc Donald’s abbia sancito un cambiamento radicale nella mia permanenza qui. Ho persino scoperto degli amici all’interno del mio dipartimento e posso dire di essermi perfettamente integrata. Prima ad esempio facevo fatica ad andare nella working class a progettare, perchè mi sentivo un pesce fuor d’acqua, nessuno mi parlava e tutti sembravano iperconcentrati sui loro progetti. Poi è come se mi fossi levata un velo dagli occhi e ho iniziato a vedere cose che prima nemmeno notavo.

C’è Miho che arriva in classe e prima di iniziare a lavorare si fa un pisolino con la coperta sopra la testa; c’è Kayoko che la maggior parte del tempo cazzeggia al pc e cura le piante vicino alla finestra, ogni tanto chiede a qualcuno aiuto, viene da me e mi dice una frase in inglese; c’è Manami che è molto impegnata con l’internship e quando riesce a venire parliamo sempre come due zabette; c’è Saerom che ha il tavolo sempre pieno di scartoffie; c’è Sayaka che è la migliore. Non saprei cosa fare senza di lei, è fantastica, la adoro e mi piange il cuore a pensare che tutti noi siamo all’ultimo anno e dopo le nostre strade si divideranno e non ci vedremo mai più probabilmente.

Forse è questo pensiero che mi fa vivere nell’angoscia. Perché so che questo momento è destinato a finire, a non ripetersi e a vivere per il resto della mia vita nei miei ricordi. Le notti passate al karaoke, o a parlare dei massimi sistemi, i pomeriggi all’エミユウ (la bakery dell’università), le sbronze, le conversazioni impossibili con gente che non ti capisce, l’estrema facilità con cui passo da una lingua all’altra e la mia ricettività nei confronti della lingua giapponese…mi sento come un fiore che viene continuamente impollinato. Ogni giorno che passa capisco sempre di più e anche se non riesco a tenere una conversazione, capisco il senso generale di cosa mi viene detto. E’ come se la manopolina del mio cervello fosse stata girata su:”sponge mode” e immagazzino tutto quello che sento e poi al momento di capire, il mio cervello sputa fuori quello che ha raccolto e mi permette si comporre il senso della frase.

BREAKIN’ NEWS:

It is the first typhoon in 8 years to make a direct strike on Japan’s main island of Honshu during the month of June.

Guarda caso proprio quando sono io in Giappone. LOL. Il mio potere cresce sempre di più!!!!

Ad maiora.